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PROTAGONISTI

INTERVISTA A DON GINO RIGOLDI

Il 22 febbraio scorso è stato siglato il protocollo con il Carcere di Opera per la formazione e l’inserimento lavorativo dei detenuti nei cantieri milanesi. Come è nata l’idea di questo progetto?

Premetto che ogni volta che nasce un’idea, che per me è sempre la risposta a un bisogno, la prima cosa che mi chiedo è “con chi posso realizzarla?”. Questo perché le cose non si fanno mai in solitaria, si fanno cercando alleati.
Nelle tante carceri italiane esistono attività di diverso tipo - quando esistono: ci sono carceri molto attivi e carceri nei quali si scivola nell’inedia: ricreative, formative, lavorative. I corsi di formazione, anche quando ben congegnati e realizzati, dovrebbero essere la premessa per potersi inserire nel mondo del lavoro. La conseguenza, però, si concretizza raramente. Talvolta a causa di una formazione poco coerente con le richieste del mercato del lavoro, in altre circostanze invece a causa dello scarso collegamento con le realtà produttive e la poca conoscenza del mercato del lavoro. Capita così che i detenuti, una volta dimessi, vengano lasciati soli, o quasi, nella ricerca di un’occupazione, con lo svantaggio di un passato che va incontro a molti pregiudizi.

Ci sono però anche molte attività lavorative dedicate ai detenuti all’interno del carcere

Sicuramente molte attività sono ben costruite, ci sono cooperative sociali importanti e anche aziende che, incoraggiate dagli sgravi fiscali consentiti dalla legge “Smuraglia”, impiantano unità produttive. Ma è come aver risolto metà del problema: dentro il carcere possono lavorare ma, appena usciti, difficilmente l’occupazione prosegue. Però è proprio la vita fuori che diventa l’incentivo più importante per non cadere nella recidiva.

Questo progetto mette insieme i due aspetti?

Proprio così. L’applicazione dell’Articolo 21 permette, a chi ha scontato una parte della pena detentiva, di lavorare all’esterno del carcere. Qui il problema è proprio la ricerca di un lavoro: l’articolo 21 è concesso a chi ha un’offerta di lavoro, ma è difficile ottenerla quando il detenuto è rinchiuso in carcere e non può partecipare attivamente alla ricerca e difficilmente partecipare a dei colloqui. Un compito che dovrebbe essere affidato al personale educativo e ai servizi sociali che, come potete immaginare, lamentano storicamente una carenza di personale. Così ho pensato a costruire un ponte tra l’interno e l’esterno del carcere che garantisse tanto i detenuti quanto le aziende. Ho pensato che una concreta soluzione potesse essere un legame forte e concreto tra formazione in carcere e lavoro fuori dal carcere. Come ottenerlo? Soprattutto, con chi? Così è nata l’idea di coinvolgere Assimpredil Ance e chiedere alle aziende associate di indicare le mansioni di cui hanno bisogno per formare quindi i detenuti coerentemente con le richieste.

Crede che possa essere un modello replicabile?

Certo, occorre sognare in grande. L’importanza di questa iniziativa  sta proprio nella costruzione di un modello che possa essere replicabile in altre Case di detenzione e per diversi settori produttivi e di servizi. Se dovesse funzionare – e non vedo perché no – siamo pronti a coinvolgere altri Istituti. Spero di trovare la stessa convinzione che ho trovato con Assimpredil Ance, un alleato prezioso per offrire lavoro inclusivo e utile per tutta la società. Per riuscirci occorre però la presenza di molti attori, come in questo caso è avvenuto grazie alla proattività di Assimpredil Ance: è riuscita a coinvolgere i sindacati di settore, la scuola di formazione ESEM-CPT e persino l’agenzia per il lavoro Umana Spa. Un vero gruppo di lavoro che, insieme al direttore di Opera Di Gregorio, saprà realizzare efficacemente quanto ci siamo prefissi come obiettivo.

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